Di sicuro sarà questa la frase che 3000 studenti di  tutto il mondo avranno sentito più frequentemente tuonare nelle sale congresso dell’hotel Hilton di New York, durante la simulazione “ National  High School Model United Nations”, iniziata l’8 marzo 2011. Simulazione alla quale hanno preso parte anche ragazzi provenienti da scuole superiori romane, partecipando ad un’esperienza  più unica che rara, che si è conclusa direttamente nella sala dell’assemblea generale dell’ONU.

Vi chiederete ora in che cosa consiste questa simulazione: i partecipanti assumono le vesti di un ambasciatore di un paese assegnato in precedenza, e devono prendere parte ad una commissione realmente esistente delle Nazioni Unite (Sochum, FAO, UNESCO, ecc..) discutendo e cercando una risoluzione a uno o due topics aderenti ai fini della propria commissione (ovviamente, il delegato si informa  al riguardo degli argomenti da trattare nei due mesi che precedono la simulazione). In questo modo i ragazzi si spogliano delle loro nazionalità e dei loro ideali assumendo quelli del paese che gli è stato assegnato talvolta, con leggi e realtà totalmente diverse da quello a cui appartengono realmente. Si trovano a comunicare e collaborare con altri studenti provenienti da tantissime nazioni diverse, al fine unico di trovare una soluzione che possa consentire il bene di tutto il mondo.

Quando ci si aggira nei corridoi dell’Hilton New York, durante i lavori,  si assiste a un via vai di ragazzi in formal dress ( proprio gli stessi che non si separerebbero mai dai jeans e dalle amate converse) di etnie, religioni e culture diverse, tutti presi a scrivere, proporre idee, discutere con altri ambasciatori, il tutto cercando di essere “diplomatici” come dovrebbe definirsi il loro ruolo di ambasciatore. Certo non manca la competitività, specialmente da parte degli  agguerriti americani, per i quali queste simulazioni rappresentano un criterio di ammissione per il college dei loro sogni  e che faranno, quindi,  di tutto per aggiudicarsi il titolo di sponsor della risoluzione votata o per ricevere uno dei riconoscimenti assegnati alla cerimonia conclusiva. Quella dove uno studente universitario coprirà il ruolo di segretario generale dell’Onu (nella realtà ruolo rivestito da Ban Ki Moon).

Di sicuro è un’esperienza che fa crescere, che pone ai ragazzi problemi attuali e li chiama in campo a risolverli. Chissà se un intelligente sedicenne non  possa dar vita a proposte più giuste di quelle che i reali ambasciatori mettono in atto oggi? In più, una caratteristica molto positiva dell’esperienza è quella di abbattere pregiudizi e discriminazioni razziali, assegnando ai partecipanti paesi diversi da quelli di origine e mettendoli in una situazione dove la collaborazione con ragazzi di altre nazioni è fondamentale. Sbalorditivo era vedere come i giovani delegati si fermavano nella sala anche dopo la fine delle ore lavorative, troppo presi a completare le loro “draft resolutions” per avere un break, o di come cercavano dialogo e appoggio da esponenti di altri paesi, ascoltando e valutando le proposte di tutti. Almeno all’Onu, ciascun paese vale uno e -quando si parla di voto- hanno tutti un uguaglianza di valore. Cosa  che purtroppo, nella vita quotidiana, risulta praticamente utopica.

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