Qualcuno lo definisce una “mezza stagione”, ma l’autunno è una stagione climatica ben definita, con le sue peculiari caratteristiche, come al solito, sottovalutate.
Annunciato dalla stupenda fioritura del ciclamino napoletano, è noto per i suoi colori: il rosso è il tema principale, ma le sfumature sono infinite, dal giallo all’arancio, per non tralasciare il verde o l’argento di piante che non lasciano andar via la loro chioma.
Sembra paradossale che un colore tanto acceso come il rosso sia in realtà legato ad una minore irradiazione solare: poiché, infatti, diminuisce la durata del giorno e si abbassano le temperature, le piante hanno meno energia per produrre clorofilla, responsabile del colore verde, mentre aumenta la concentrazione di carotenoidi e flavonoidi, pigmenti responsabili dei colori rosso, giallo, arancio, rosa e così via. Tutto porterebbe a pensare che, di questi tempi, le piante si preparino al riposo invernale ma, in realtà, la natura si ferma ben poco.
Invito tutti a passeggiare nei boschi: vi accoglieranno nel sottobosco, i fiori rosa del ciclamino napoletano, il cui nome,Cyclamen, fa riferimento alla spirale che il picciolo assume quando ormai il frutto è maturo e, così facendo, dall’alto in cui si faceva bello il fiore, si ritorna alle origini, alla terra, dove verrà delicatamente appoggiata la capsula. Sempre rosa saranno le stupende malve che, in pieno sole, colorano i prati. Dai rami delle querce, dei carpini, degli olmi e degli aceri, pende lo stracciabraghe: tanto pungenti le sue foglie, famose proprio perché strappano i vestiti, tanto rosse le sue bacche, di cui sono avidi i pettirossi. I cinorrodi rossi, grandi e piccoli delle rose selvatiche, le bacche commestibili del biancospino e del corniolo, il pungitopo, l’evonimo, i funghi, il castagno e le castagne con tanto di ricci, qualche erica e ginestra superstiti: ovunque si guardi c’è vita.
Il giallo dei topinambur colora le tristi bordature stradali. Il melograno, frutto ormai dimenticato, apre il suo scrigno di semi rosa-rossi regalandoli ai più pazienti tra i golosi; il corbezzolo invece non perde tempo, foglie, fiori e frutti insieme, verdi le prime, bianchi i secondi e rossi gli ultimi: un italiano doc! Il cachi dagli occhi a mandorla, date le sue origini giapponesi e cinesi, dal verde smeraldo delle sue foglie vira improvvisamente al rosso nascondendo inizialmente i suoi frutti meravigliosi. Esso è considerato l’albero delle sette virtù: personalmente me ne basta una, la dolcezza. Non bisogna inoltre dimenticare le bacche nere di mirto e ligustro, passando dai mari ai monti.
Anche i campi arati acquistano una bellezza particolare: rossi, bruni, neri, come onde del mare sulle colline o distesi come deserti, solitari come quel singolo albero, risparmiato dall’uomo che, a volte, spicca al centro, o popolati da bianche pecorelle.
Ma questa tela colorata non resta muta: un dolce sottofondo musicale è legato al ritorno di varie specie di uccelli, tornati per trascorrere al riparo l’inverno; pettirossi, cince, codirossi spazzacamino e tanti altri, non solo fanno pendant con alberi e arbusti, ma cantano melodiose sinfonie, interrotte solo dal sordo suono delle ghiande che cadono alla portata dei cinghiali o da qualche nube impetuosa che, prima, scarica con forza tutta l’acqua, poi, chiede perdono con un timido arcobaleno.
Fiori, frutti, semi, canti, colori: tutto sembra, ancora una volta, un richiamo alla vita, al suo eterno ritorno!
L’Autunno dunque, per rubare le parole ad Ungaretti “ è una quiete accesa”.
Ippolita Sanso
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