Nel corso dell’ultimo secolo è scomparsa la metà delle foreste tropicali e i tanto amati mobili in tek hanno sicuramente contribuito  alla distruzione di foreste dall’altra parte del nostro prezioso mondo.

Un albero rappresenta di sicuro un’importante risorsa. Risorsa rinnovabile se venisse sfruttata ad un ritmo inferiore a quello della sua riproduzione, risorsa che potrebbe rinnovarsi per un tempo indefinito. Un albero costituisce un elemento fondamentale dell’ecosistema, offrendo habitat a numerosi animali, fornendo preziose proteine, essendo la nostra principale fonte di legna da ardere, di materia prima per produrre carta, di legname da costruzione, per la fabbricazione di mobili…e mentre per gli abitanti del Primo Mondo, le foreste sono luoghi di svago, per chi vive nel Terzo Mondo (la fetta più cospicua dell’umanità) sono fonte di cibo e di materiale per la costruzione di strumenti indispensabili nella vita quotidiana.

Un albero è un filtro naturale dell’aria, quell’aria spesso inquinata dalle nostre stesse mani; con le radici protegge la superficie terrestre dal dissesto idroambientale,  evitando frane e tutte le conseguenze catastrofiche quando queste si verificano vicino le nostre case.

Le foreste pluviali tropicali sono la fonte di tutti i nutrimenti di un ecosistema, perciò il taglio degli alberi lascerà un terreno sterile. Le foreste tropicali occupano solo il 6 per cento della superficie terrestre, ma ospitano tra il 50 e l’80 per cento di tutte le specie vegetali e animali dell’intero pianeta Terra.  Di conseguenza, quando si tagliano gli alberi, inevitabilmente si compie un danno ambientale.

Per fortuna sono state studiate delle strategie per ridurre l’impatto ambientale negativo dello sfruttamento dei boschi, tecniche che consistono nel tagliare selettivamente gli esemplari delle specie pregiate, nell’abbattere secondo un ritmo sostenibile rispetto al tempo di ricrescita, nel ripiantare gli alberi uno ad uno, tanto per citare alcuni esempi.

Jared Diamond in “Collasso” racconta il caso dello sfruttamento del legname in Asia sudorientale e nelle isole del Pacifico. L’industria del legno è prevalentemente nelle mani di multinazionali che hanno sede soprattutto in Malesia, a Taiwan e nella Corea del Sud. Il diritto di taglio delle foreste viene comprato dai governi senza considerare che queste in realtà appartengono alla gente del  luogo, senza ripiantare gli alberi abbattuti e in ultimo, poiché il tronco grezzo verrà successivamente esportato e lavorato in altri paesi, acquistando così maggior pregio, le aziende privano le stesse comunità locali ed  il governo nazionale di gran parte del valore potenziale della loro risorsa.

Spesso le multinazionali acquistano i contratti con tangenti ai funzionari governativi e tagliano un maggior numero di alberi rispetto al previsto, costruendo strade che danneggiano ulteriormente gli ecosistemi, o spesso accade che tutto avvenga illegalmente: viene caricato tutto il legname possibile su navi cargo, dopo la stipula di veloci accordi, senza permessi governativi, tanto che è stato stimato un buon 70 per cento di legname commercializzato illegalmente in Indonesia che costa al governo, ogni anno, un miliardo di dollari in imposte, diritti di sfruttamento e affitti non pagati. Anche il consenso degli abitanti viene comprato facilmente con somme di denaro che sembrano enormi agli occhi di chi sopravvive quotidianamente, o con false promesse di futuri ospedali o di nuovi impianti boschivi.

I tronchi di legno tropicale sono talmente pregiati  e ricercati che il loro taglio selvaggio è redditizio a costo anche della vita di uomini innocenti.

In altri paesi come l’Europa occidentale o gli Stati Uniti il taglio selvaggio è divenuto invece meno conveniente; in questi luoghi non ci sono le foreste primarie o comunque stanno diminuendo rapidamente. Molti consumatori sensibili alla tematica acquistano prodotti ottenuti da foreste gestite secondo metodi sostenibili per l’ambiente; le stesse leggi sono più ferree e vi è una minore corruzione dei funzionari governativi.

La crescente sensibilità dei consumatori è andata di pari passo con l’aumentare della preoccupazione delle aziende del settore che, a partire dagli anni Novanta, hanno aperto un tavolo di confronto con le associazioni ambientaliste  e le comunità locali. Nacque così nel 1993 un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro detta Forest Stewardship Council (FSC), con sede in Germania, finanziata dalle stesse aziende del legname, governi, fondazioni e gruppi ambientalisti. Il FSC è gestito da un comitato elettivo e infine, dai membri dell’organizzazione stessa, tramite dei rappresentanti.

Gli scopi principali sono di tre tipi: stabilire dei criteri per definire una gestione forestale corretta; stabilire una procedura per valutare la conformità a tali criteri dell’operato di un’azienda e rilasciare quindi un certificato di conformità; definire un procedimento che lungo l’intera filiera produttiva, consenta la tracciabilità dei prodotti derivati dalle foreste certificate, affinché il consumatore abbia la certezza che la carta igienica, il tavolo o il ceppo che voleva acquistare, provenga davvero da una foresta correttamente gestita.

Una gestione si definisce corretta secondo il rispetto dei seguenti principi:

l’abbattimento degli alberi avviene a un ritmo che può essere sostenuto indefinitivamente permettendo la normale riproduzione delle piante;

le foreste antiche, particolarmente pregiate, vanno salvaguardate integralmente;

la biodiversità e tutte le funzioni ecologiche dell’ecosistema forestale devono essere conservate a lungo termine;

i bacini idrografici devono essere protetti, mantenendo rive di laghi e fiumi, sufficientemente estese;

la previsione di impianti di smaltimento di rifiuti e sostanze chimiche fuori dell’area forestale è d’obbligo;

il rispetto delle leggi in vigore e il riconoscimento dei diritti delle comunità indigene e degli operai delle aree forestali sono gli ultimi, ma non meno importanti punti da rispettare.

Ci sono ben dodici organismi in tutto il mondo  che per conto di FSC valutano direttamente la conformità e il rispetto di questi principi da parte delle aziende e certificano, a livello internazionale, i risultati trovati. La richiesta del controllo parte dallo stesso proprietario dell’azienda o dal gestore forestale senza avere la certezza dell’esito positivo; d’altra parte sebbene possa sembrare strano, aumenta il numero di aziende che richiedono la certificazione FSC poiché questa richiama un maggior numero di consumatori attratti dalla migliore immagine ottenuta.

Dal 1993 il movimento di certificazione forestale si è sparso a macchia d’olio e ad oggi esistono foreste e filiere certificate in ben 64 paesi: ben 40.403.000 ettari di foresta sono gestiti correttamente secondo i principi FSC. In testa la Svezia con 9.841.954 ettari, seguita da Polonia, Stati Uniti, Canada, Croazia, Lettonia, Brasile, Regno Unito e Russia. I consumatori più sensibili sono nel Regno Unito e subito dopo gli Olandesi.

Acquistare un mobile FSC significa alleggerire di più le proprie tasche, ma il guadagno è in prospettiva. Solo i consumatori possono determinare l’aumento di superfici boschive certificate. Possiamo scegliere forniture con marchio FSC tra ben 10.000 prodotti.

Tu, da che parte stai?

Ippolita Sanso

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